Il disinteresse morale e materiale del genitore nei confronti del figlio può giustificare la pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale?
Il rimedio sancito dall’art. 330 c.c. si pone quale extrema ratio di tutela in presenza di una grave violazione dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale ovvero di un abuso dei poteri ad essa correlati, cui consegua un grave pregiudizio a carico del minore.
I due presupposti che la norma pone alla declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale sono individuati nella condotta del genitore, in contrasto con i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale ovvero di abuso dei relativi poteri, e nel grave pregiudizio patito dal minore, posto in rapporto di causalità con le condotte illustrate.
Il grave pregiudizio per il minore è considerato dalla dottrina e dalla giurisprudenza sussistente in re ipsa, nella criticità del contesto familiare di riferimento nonché nel grave pericolo che la condotta posta in essere dal genitore inadempiente possa ragionevolmente dispiegare degli effetti negativi nella vita futura del minore.
Tale assunto muove dall’evoluzione dell’istituto in commento che, nel tempo, ha perso qualsiasi connotato sanzionatorio nei confronti del genitore inadempiente, per assumere, al contrario, una funzione essenzialmente preventiva. In tal senso, la declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale ex art. 330 c.c. non costituisce uno rimedio volto a sanare ex nunc la lesione del primario interesse del minore, bensì uno strumento di tutela diretto a evitare il concretarsi del grave pregiudizio cui la condotta del genitore è strettamente correlata ovvero il protrarsi della situazione dannosa già in essere.
Tale assunto è stato recentemente confermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la gravità dell’inadempimento di cui il genitore si sia reso responsabile esclude ogni fiducia residuale nei suoi confronti. Nella medesima occasione è stato altresì chiarito che “… stante la funzione preventiva e non repressiva del rimedio, il pregiudizio del figlio deve ritenersi non già quello verificatosi in forza degli atti compiuti dai genitori, ma il pregiudizio futuro, poiché esso potrebbe derivare dalla reiterazione di altri atti dello stesso genere, rispetto a quelli già compiuti, che si rendono prevedibili. Non occorre, dunque, che si sia già verificato un danno attuale, potendo bastare che la situazione venutasi a creare sia tale da far apparire elevato e verosimile il rischio di un danno…” (Cass. Civ., sez. I, n. 22006/2022).
Lo strumento in discorso, in ragione degli effetti drastici che è destinato a produrre, deve ritenersi una misura estrema che può essere disposta soltanto a seguito di una valutazione approfondita del caso concreto da parte dell’Autorità giudiziaria competente. In tal senso, la Corte di Cassazione, ha recentemente ribadito che: “… la responsabilità genitoriale è funzionale all’interesse del minore e alla formazione della sua personalità; quindi, la decadenza dalla responsabilità genitoriale deve basarsi su un grave inadempimento dei doveri genitoriali che causi o possa causare un serio pregiudizio al figlio, fondandosi su fatti concreti ed elementi indiziari caratterizzati da gravità, precisione e concordanza…” (Cass. Civ., sez. I, n. 24708/2024).
Al fine di valutare se il contegno di totale disinteresse manifestato dal genitore possa rientrare tra le condotte pregiudizievoli individuate dal Codice quale presupposto del provvedimento ablativo della responsabilità genitoriale, è opportuno proporre una breve analisi della casistica elaborata dalla giurisprudenza sul tema.
Vi sono diversi precedenti giurisprudenziali in cui la situazione di assoluto rifiuto del ruolo genitoriale è stata considerata dall’Autorità giudiziaria sufficiente a integrare una grave violazione dei doveri inerenti alla responsabilità genitoriale.
In tal senso il Tribunale di Roma (Trib. Roma, 15 settembre 2016) ha dichiarato la decadenza dalla responsabilità genitoriale di un padre che, pur consapevole dell’esistenza del rapporto di filiazione, si è disinteressato del figlio minore per anni, non volendolo frequentare e manifestando espressamente la propria determinazione a non intrattenere alcun tipo di rapporto con lo stesso.
Secondo la giurisprudenza del Tribunale per i Minorenni (ex multis Tribunale per i Minorenni de L’Aquila, 3 aprile 2006) il disinteresse nei confronti del figlio può essere individuato nella scelta del genitore di non presenziare a momenti significativi per la vita del minore, ovvero in quella di rendersi totalmente irreperibile e trascurare costantemente, per un lasso di tempo considerevole, il rapporto con un figlio minore in tenera età.
Dallo studio della casistica qui brevemente riportata si evince che la condotta gravemente pregiudizievole cui consegue l’operatività dell’art. 330 c.c. può consistere non solo in comportamenti positivi, ma anche in contegni omissivi atti a manifestare noncuranza e incapacità di prestare ai figli la dovuta assistenza morale e materiale.
Alla luce di tali considerazioni, è possibile ritenere lo strumento di tutela disciplinato dall’art. 330 c.c. adeguato alle ipotesi più gravi in cui il genitore si disinteressi totalmente del figlio minore e rifiuti di svolgere il proprio ruolo.