Il Consenso informato e la vaccinazione anti Covid-19 per i soggetti incapaci naturali ricoverati presso le RSA
La Legge 29 gennaio 2021 n.ro 6 (di conversione del D.L. 18
dicembre 2020 n.ro 172) all’articolo 1-quinqiues si
fa carico di dettare la disciplina per le vaccinazioni dei
“soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie
residenziali”. La norma distingue tra soggetti che siano già
sottoposti a misure di sostegno (quali interdizione,
inabilitazione ed amministratore di sostegno o che abbiano
dettato le disposizioni anticipate di trattamento, ovvero il
c.d. testamento biologico) e persone che non abbiano alcuna
forma di sostegno ma che si trovino in ogni caso in uno
stato di incapacità di prestare validamente e
consapevolmente il proprio consenso alla vaccinazione anti
Covid-19.
Nella prima ipotesi il consenso viene prestato, secondo i
casi, dal tutore, dal curatore, dall’amministratore di
sostegno o dal fiduciario nominato in sede di redazione
delle disposizioni anticipate di trattamento (Legge
219/2017), il tutto tenendo conto delle volontà espresse dal
soggetto o di quelle che presumibilmente avrebbe espresso
laddove fosse stato in possesso delle proprie facoltà
mentali.
La scelta operata dal legislatore non pone problemi per
quanto riguarda il soggetto dichiarato interdetto, per il
quale non è dubbio che la scelta spetti al tutore; maggiori
perplessità pone la scelta operata per i casi di soggetto
solamente inabilitato, che rimane comunque con una sia pur
limitata capacità, o con amministratore di sostegno, in
particolare nel caso in cui il decreto di nomina non
conferisca all’amministratore di sostegno alcun potere al
riguardo. Per quanto riguarda il fiduciario di cui alla
Legge 219/2017 pare logico pensare che questi possa
validamente prestare il consenso informato soltanto nel caso
in cui nel “testamento biologico” questa facoltà sia stata
prevista.
Un po’ di stupore deriva dal fatto che tutti questi soggetti
prima di prestare il consenso debbano “sentire” il coniuge o
il convivente o in loro assenza i parenti fino al terzo
grado: le perplessità derivano dalla differenza rispetto al
sistema complessivo, dalla non utilissima complicazione
apportata anche alla luce delle evidenti ragioni di
semplificazioni ed urgenza imposte dalla pandemia, ed al
valore (quanto meno incerto) che si debba dare alle opinioni
espresse dal coniuge o dai parenti.
Nel caso in cui, invece, il soggetto ricoverato presso la
RSA sia di fatto incapace di determinarsi e di dare un
valido consenso ma sia privo di misure di sostegno (ovvero
nel caso in cui il tutore, il curatore, l’amministratore di
sostegno o il fiduciario non siano rintracciabili nelle 48
ore) il direttore sanitario o, in difetto, il
responsabile medico della residenza sanitaria
assistenziale (RSA), o dell'analoga struttura comunque
denominata, in cui la persona incapace e' ricoverata ne
assume la funzione di amministratore di sostegno, al solo
fine della prestazione del consenso di cui al comma
1.
In tal caso si deve dare atto delle ricerche effettivamente
svolte.
La scelta operata dal legislatore, pure condivisibile, pone
alcuni problemi.
Il principale ci pare quello relativo all’accertamento
dell’effettivo stato di incapacità naturale che compiuto dai
soggetti sopra indicati potrebbe essere in seguito
contestato.
Altro problema di difficile soluzione è quello di un
possibile conflitto tra la volontà espressa dal paziente
(per quanto incapace di fatto) e quello dato dal direttore
sanitario o dal responsabile medico della struttura.
Vi è poi la necessità di dare dimostrazione compiuta
dell’effettiva attività di ricerca nelle 48 ore.
Vedremo nel concreto.