Il Consenso informato e la vaccinazione anti Covid-19 per i soggetti incapaci naturali ricoverati presso le RSA

14/04/2021
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La Legge 29 gennaio 2021 n.ro 6 (di conversione del D.L. 18 dicembre 2020 n.ro 172) all’articolo 1-quinqiues si fa carico di dettare la disciplina per le vaccinazioni dei “soggetti incapaci ricoverati presso strutture sanitarie residenziali”. La norma distingue tra soggetti che siano già sottoposti a misure di sostegno (quali interdizione, inabilitazione ed amministratore di sostegno o che abbiano dettato le disposizioni anticipate di trattamento, ovvero il c.d. testamento biologico) e persone che non abbiano alcuna forma di sostegno ma che si trovino in ogni caso in uno stato di incapacità di prestare validamente e consapevolmente il proprio consenso alla vaccinazione anti Covid-19.
Nella prima ipotesi il consenso viene prestato, secondo i casi, dal tutore, dal curatore, dall’amministratore di sostegno o dal fiduciario nominato in sede di redazione delle disposizioni anticipate di trattamento (Legge 219/2017), il tutto tenendo conto delle volontà espresse dal soggetto o di quelle che presumibilmente avrebbe espresso laddove fosse stato in possesso delle proprie facoltà mentali.
La scelta operata dal legislatore non pone problemi per quanto riguarda il soggetto dichiarato interdetto, per il quale non è dubbio che la scelta spetti al tutore; maggiori perplessità pone la scelta operata per i casi di soggetto solamente inabilitato, che rimane comunque con una sia pur limitata capacità, o con amministratore di sostegno, in particolare nel caso in cui il decreto di nomina non conferisca all’amministratore di sostegno alcun potere al riguardo. Per quanto riguarda il fiduciario di cui alla Legge 219/2017 pare logico pensare che questi possa validamente prestare il consenso informato soltanto nel caso in cui nel “testamento biologico” questa facoltà sia stata prevista.
Un po’ di stupore deriva dal fatto che tutti questi soggetti prima di prestare il consenso debbano “sentire” il coniuge o il convivente o in loro assenza i parenti fino al terzo grado: le perplessità derivano dalla differenza rispetto al sistema complessivo, dalla non utilissima complicazione apportata anche alla luce delle evidenti ragioni di semplificazioni ed urgenza imposte dalla pandemia, ed al valore (quanto meno incerto) che si debba dare alle opinioni espresse dal coniuge o dai parenti.
Nel caso in cui, invece, il soggetto ricoverato presso la RSA sia di fatto incapace di determinarsi e di dare un valido consenso ma sia privo di misure di sostegno (ovvero nel caso in cui il tutore, il curatore, l’amministratore di sostegno o il fiduciario non siano rintracciabili nelle 48 ore) il direttore sanitario o,  in  difetto,  il  responsabile  medico  della residenza sanitaria assistenziale  (RSA),  o  dell'analoga  struttura comunque denominata, in cui la  persona  incapace  e'  ricoverata  ne assume la funzione di amministratore di sostegno, al solo fine  della prestazione del consenso di  cui  al  comma  1. 
In tal caso si deve dare atto delle ricerche effettivamente svolte.
La scelta operata dal legislatore, pure condivisibile, pone alcuni problemi.
Il principale ci pare quello relativo all’accertamento dell’effettivo stato di incapacità naturale che compiuto dai soggetti sopra indicati potrebbe essere in seguito contestato.
Altro problema di difficile soluzione è quello di un possibile conflitto tra la volontà espressa dal paziente (per quanto incapace di fatto) e quello dato dal direttore sanitario o dal responsabile medico della struttura.
Vi è poi la necessità di dare dimostrazione compiuta dell’effettiva attività di ricerca nelle 48 ore.
Vedremo nel concreto.

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