La nullità delle fideiussioni omnibus secondo lo schema ABI: la pronuncia delle Sezioni Unite

31/01/2022
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La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 41994/2021, si è pronunciata sulla complessa questione della nullità delle fideiussioni omnibus redatte secondo lo schema ABI (Associazione Bancaria Italiana), ponendo fine, quanto meno momentaneamente, alle divergenze e ai contrasti dottrinali e giurisprudenziali sorti negli ultimi anni.

Nell’anno 2003, successivamente alla redazione da parte dell’ABI del modello di fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie, la Banca d’Italia (all’epoca Autorità Garante della Concorrenza tra gli Istituti di Credito) aveva sollevato alcuni dubbi circa l’incompatibilità dello stesso con la disciplina posta a tutela della concorrenza. In particolare, tali rilievi critici afferivano alle clausole nn. 2 (clausola di reviviscenza), 6 (clausola di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c.) e 8 (clausola di sopravvenienza) le quali, secondo il provvedimento n. 55 del 2005 della Banca d’Italia, determinerebbero una “restrizione della concorrenzasignificativa nel mercato rilevante, atteso l’elevato numero di banche associate all’ABI” e, dunque, si porrebbero in aperto contrasto con l’art. 2, ii) comma, lettera a), L. n. 287/1990.
In questo contesto, dottrina e giurisprudenza hanno a lungo discusso circa i possibili rimedi esperibili dal fideiussore, posto che il c.d. contratto a valle rappresenta “lo sbocco dell’intesa vietata” e che la nullità dell’intesa non può far altro che ripercuotersi sull’atto finale riproduttivo, anche solo parzialmente, del contenuto dell’intesa a monte. In altre parole, si tratta di contratti tra i quali è innegabile la sussistenza di un collegamento funzionale, potenzialmente idoneo a generare un effetto distorsivo della concorrenza.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha sancito l’inidoneità del solo rimedio risarcitorio a favore del soggetto danneggiato; ciò in considerazione dell’interesse protetto dalla normativa antitrust che coinvolge l’intero mercato e non solo quello individuale del singolo contraente pregiudicato dalle intese anticoncorrenziali. A tal riguardo, anche secondo la Corte di Giustizia europea il rimedio risarcitorio disposto dal diritto comunitario continua a rappresentare una forma di tutela minima, essendo rimessa al diritto interno di ogni nazione l’individuazione degli strumenti di tutela più confacenti ai casi pratici.

Oltre a ciò, le Sezioni Unite hanno affermato che la tutela più adeguata deve individuarsi nella nullità parziale, ovverosia in una forma di invalidità limitata alle singole clausole contenute nei contratti stipulati dai consumatori che “costituiscono pedissequa applicazione degli articoli dello schema ABI, dichiarati nulli dal provvedimento della Banca d'Italia”. I giudici di legittimità sono giunti a tale conclusione dando applicazione al principio di conservazione del negozio giuridico, contemplato dall’art. 1419 c.c., attuabile qualora permanga l’utilità del contratto in relazione agli interessi inizialmente perseguiti dai contraenti.

Ne consegue che l’estensione della nullità all’intero contratto costituisce un’ipotesi eccezionale che può trovare attuazione limitatamente ai casi in cui “la parte affetta da nullità risulti essenziale per i contraenti, che non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità”.

Sulla base di tali considerazioni, nella fattispecie in esame, è stata sancita la piena validità ed efficacia delle fideiussioni omnibus, con esclusione delle clausole che, riproducendo il contenuto dell’intesa a monte, costituiscono violazione della disciplina antitrust. Infine, ma non da ultimo, la Corte ha sancito la rilevabilità d’ufficio della citata nullità, nei limiti contemplati dalla giurisprudenza della stessa Corte, nonché l’imprescrittibilità dell’azione di nullità.

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