Lavori contestati? Ecco cosa deve dimostrare l'appaltatore (e il committente)

19/06/2025
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Con l'ordinanza n. 1701 del 23 gennaio 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di costante attualità nella pratica giudiziaria: la corretta distribuzione, in materia di appalto, dell'onere della prova quando, a fronte di una richiesta di pagamento da parte dell'appaltatore, il committente contesta genericamente la regolarità dell'opera eseguita.

Il caso sottoposto all'attenzione dei giudici di legittimità ha preso le mosse dalla domanda giudiziale avanzata da un'impresa, a lavori ultimati, per il pagamento del corrispettivo contrattualmente pattuito. Nel corso del giudizio, il committente convenuto non ha formalmente azionato, in via riconvenzionale, la garanzia per vizi dell'opera, né ha attivato strumenti tipici di tutela del committente quali la richiesta di risoluzione, di riduzione del prezzo o di riparazione delle difformità, limitandosi a contestare la domanda di pagamento e ad opporre una generica eccezione di inadempimento, fondata sull'allegazione di non meglio precisati difetti delle opere realizzate.

Le Corti di Merito, in primo e secondo grado, hanno ritenuto fondata la pretesa dell'appaltatore, rilevando come le doglianze del committente fossero prive di specificità e, soprattutto, di un riscontro probatorio adeguato.

Investita della questione, la Suprema Corte, ha confermato tali pronunce, cogliendo l'occasione per ribadire e chiarire alcuni concetti fondamentali che regolano l'interazione tra obblighi contrattuali e oneri processuali nella delicata materia in discorso.

Il nodo interpretativo attorno al quale ruota la decisione riguarda la distinzione - non solo formale - tra l'eccezione di inadempimento e la domanda di garanzia per vizi dell'opera.

In entrambi i casi il committente contesta la bontà dell'esecuzione, ma lo fa in termini giuridicamente diversi, con importanti conseguenze sull'onere della prova.

Secondo la Cassazione, nel caso in cui l'appaltatore agisce per ottenere il pagamento e il committente si difende opponendo l'eccezione di inadempimento, sarà il primo a dover dimostrare l'esatto adempimento, ossia l'avvenuta esecuzione delle opere a regola d'arte e in conformità al contratto. Diversamente, qualora sia il committente a proporre una vera e propria azione di garanzia per vizi (ex artt. 1667 e 1668 c.c.), graverà su quest'ultimo l'onere di provare non solo l'esistenza dei vizi, ma anche l'incidenza degli stessi sull'utilizzabilità dell'opera ovvero sul valore economico della stessa.

Il principio enunciato non è affatto nuovo, ma si inserisce in un filone giurisprudenziale che, nel tempo, ha specificato i criteri volti a distinguere le contestazioni aventi valore meramente difensivo dalle vere e proprie pretese autonome.

In passato non sono mancate pronunce meno nette, in cui la giurisprudenza ha confuso i due piani o comunque ha lasciato spazio a interpretazioni elastiche.

L'ordinanza in commento si distingue invece per la chiarezza con cui definisce il confine tra la difesa passiva e l'azione attiva e per la concretezza con cui ne fa discendere le relative conseguenze processuali.

Nel caso concreto, la Corte ha confermato la correttezza della decisione di merito, evidenziando le carenze della difesa del committente, limitate a generici rilievi circa la qualità dei lavori del tutto insufficienti a paralizzare la richiesta di pagamento dell'appaltatore, il cui adempimento è risultato invece provvisto di adeguato supporto probatorio.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha ribadito il seguente principio di diritto: "In tema di contratto di appalto, ove il committente convenuto in giudizio dall'appaltatore per il pagamento del corrispettivo sollevi l'eccezione generale di inadempimento, spetta all'appaltatore provare l'esatto adempimento della propria obbligazione mentre, ove il committente - che abbia la disponibilità fisica e giuridica dell'opera - proponga domanda di garanzia speciale per le difformità e vizi, spetta allo stesso appaltante dimostrare l'esistenza di tali difformità e vizi e delle conseguenze dannose lamentate".

La portata pratica della pronuncia è tutt'altro che trascurabile.

In un contenzioso che coinvolge lavori eseguiti (spesso in ambito edilizio o impiantistico), è fondamentale per le parti - e per i loro legali - distinguere chiaramente tra una semplice eccezione volta a paralizzare la domanda altrui e una vera e propria azione di responsabilità contrattuale.

La prima è un'allegazione difensiva che non richiede una domanda autonoma, ma obbliga l'appaltatore a dimostrare l'esatto adempimento. La seconda, invece, comporta un onere probatorio ben più gravoso per il committente, che dovrà dimostrare la sussistenza dei vizi, il nesso causale con il danno lamentato, e le conseguenze patrimoniali che ne derivano.

Non si tratta solo di una differenza teorica, ma di una scelta strategica che può determinare l'esito della causa.

Ecco perché questa ordinanza si presta a essere letta non solo come una conferma di orientamenti già consolidati, ma anche come una guida operativa per gestire con maggiore consapevolezza i rapporti tra appaltatore e committente in sede contenziosa.

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